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Racconti da Marahan -> Ciò che disse il vento, di Pierfazz@IMM -> Odowin, Pianura di Miduneer, in viaggio verso i monti aguzzi

iv - Odowin, Pianura di Miduneer, in viaggio verso i monti aguzzi

Il viaggio di Valdir proseguiva attraverso le molte foreste che ricoprivano Arborea. Sebbene gli incontri fossero radi egli trovava il suo viaggio tutt'altro che noioso. La vegetazione variava con una velocità impressionante man mano che si avvicinava alla costa ed era incredibile vedere quante qualità diverse di piante si fossero sviluppate autonomamente. Nei primi due giorni tutto proseguì senza intoppi. Valdir si limitava a seguire un sentiero costruito per collegare le tribù esterne al nucleo centrale del lago Kuur. Evitò per tutto il tempo di riflettere su quello che gli era accaduto, concentrando la sua attenzione sulle tante piante a lui nuove, concedendosi poche pause accompagnate da un sonno profondo e ristoratore. Il terzo giorno un fortuito incontro con una famiglia di mercanti gli fruttò un passaggio verso la tribù dei Mahari. La famiglia si muoveva grazie ad un carro trainato da dei Wuur, animali molto resistenti e facilmente addomesticabili che costituivano il principale mezzo di trasporto di quelle zone. L'uomo che guidava il carro era una persona cordiale e paffuta, e il resto della famiglia, sua moglie e i due bambini, sembravano ricalcati sulla sua stessa figura. Il mercante gli espose durante tutto il viaggio i suoi molti dubbi sul loro attuale capo villaggio, e Valdir si limitò a sorridere alle affermazioni più colorite, divertito in parte dal pensiero che nel suo villaggio qualcuno pensasse le stesse cose di lui.

La carovana arrivò al campo base dei Mahari all'imbrunire. Valdir salutò la famiglia ringraziandola per la compagnia e si diresse verso la tenda del Primo Guardiano. Il campo si stendeva su di una radura circolare al cui centro troneggiava una vecchia quercia. La macchia che circondava il campo era interrotta in un unico punto e per il resto era talmente fitta da no permettere il passaggio. Ove gli alberi si aprivano timidamente si originava uno stretto sentiero che fungeva da collegamento con la pista carovaniera di cui Valdir si era servito poco prima. Vista l'ora tarda il campo era semi deserto, i più stavano cacciando o tagliando legna e le donne sarebbero arrivate presto con l'acqua o di ritorno dal pascolo. Valdir raggiunse l'albero muovendosi tra le file circolari di tende che lo circondavano. I vari totem sparsi li attorno mostravano chiaramente che esso era adibito ad abitazione del primo guardiano. Si diresse verso l'apertura che sapeva essere l'entrata all'abitazione, sperando che Mor si fosse allontanato con gli altri uomini della tribù. Avrebbe preso ciò che gli serviva e se ne sarebbe andato senza discutere. Un ragazzo notò la sua presenza e si avvicinò.

- Posso aiutarti in qualche modo, forestiero?

Il bimbo era molto magro e dei corti capelli castano scuri spuntavano dalla sua testa come un ciuffo d'erba.

- Non credo. Sono di passaggio e vorrei scambiare due chiacchiere col capo guardiano.

Valdir fece per voltarsi ma un grosso uomo con in mano una lancia da combattimento e un corno al collo si avvicinò piuttosto rapidamente guardandolo con fare indagatore.

- Salve forestiero e ben venuto in questo campo. Io sono Erkum e sarò felice di aiutarla in ogni modo, se le sue intenzioni sono pacifiche.

- Sono Valdir, capo tribù dei Maaben, e avrei urgente bisogno di parlare con Mor, il vostro capo. Sto intraprendendo un lungo viaggio e ho bisogno di alcune erbe che lui aveva promesso di procurarmi. Se possibile potresti essere tu stesso a prenderle per me.

- Mi spiace ma il capo non è nella sua abitazione in questo momento e a me è vietato entrarvi, come lo è agli estranei. Credo che dovrà attendere il suo ritorno.

Il bimbo guardò i due incuriosito.

Valdir si fermò un attimo pensieroso accarezzandosi il mento.

- Capisco. Puoi dirmi almeno dove posso trovarlo?

- Si è diretto verso un acquitrino non lontano da qui. Ha detto che avrebbe raccolto alcune erbe. Probabilmente proprio quelle che lei sta cercando.

- Potresti guidarmici?

- Temo di no. Sono di guardia e se mi allontanassi verrei punito. - Posso accompagnarlo io - si offerse il bambino.

La guardia sembrò incerta sul da farsi, poi dopo aver dato un'ultima occhiata a Valdir acconsentì.

Il ragazzino sembrava conoscere molto bene la zona nonostante la sua tenera età. Probabilmente era figlio di un esploratore, o veniva usato lui stesso come sentinella nelle ore diurne. Il bosco che stavano attraversando era incredibilmente fitto. I rami più bassi degli arbusti erano per la maggior parte privi di foglie ed erano talmente taglienti e intricati da rendere alcuni punti intransitabili. Un uomo in fuga in quel bosco, si sarebbe gravemente ferito e avrebbe generato un incredibile trambusto urtando anche una sola di quelle fitte trame naturali. Probabilmente quella insolita conformazione era stata favorita magicamente proprio per difendere il villaggio da incursioni notturne provenienti dal bosco. Ma considerando ciò che aveva visto nei giorni precedenti, Valdir non si stupiva più delle stranezze che la natura era capace di generare. Dopo dieci minuti di silenzioso zigzagare il bimbo si fermò.

- Troverà l'acquitrino proseguendo dritto per di qua. Tra poco sarà buio e preferisco non restare qui con l'oscurità. Il guardiano la riporterà indietro.

Il bimbo si inchinò e sene andò veloce. Sembrava spaventato. Forse quel posto nascondeva realmente qualcosa di misterioso.

Valdir proseguì nel bosco nella direzione che il ragazzino gli aveva indicato. Il terreno divenne improvvisamente più secco ed ogni passo alzava del terriccio misto a piante, come una fine polvere. Dopo pochi passi fu circondato da quello strano pulviscolo e si sentì soffocare. Si voltò cercando di tornare da dove era venuto. Li vi era un folto sottobosco e poteva aspettare Mor sulla via del ritorno. Ma proprio mentre stava tornando su i suoi passi quella nebbia asfissiante sembrò seguirlo come fosse viva, diventando man mano sempre più grande. Il respiro iniziò a mancargli e con esso perse anche quella poca visibilità che gli aveva permesso di muoversi. Invocare aiuto, umano o sovrannaturale che fosse, in quelle condizioni era assurdo, non sarebbe riuscito neanche a spalancare la bocca. Doveva raggiungere l'acquitrino. La avrebbe potuto disfarsi della nebbia e forse avrebbe trovato anche Mor.

Iniziò a correre. Quella che inizialmente gli era sembrata polvere ora aveva acquistato maggiore consistenza e aderiva al suo viso come una maschera di sabbia. Iniziò a mancargli l'aria e disorientato si schiantò contro una parete di ramoscelli. Appena resosene conto si preparò al dolore irrigidendosi nel tentativo di sfondarli senza arrestare la sua marcia. La parete però cedette con eccessiva facilità e Valdir, sbilanciato dal troppo slancio, rovinò a terra pesantemente. Un dolore gli invase lentamente il fianco destro. Tentò di rialzarsi immediatamente in un estremo tentativo di fuga, ma dovette desistere con orrore. Quella polvere era viva e cosciente e stava cercando il modo più veloce per ucciderlo. L'immensa coltre si era abbattuta su di lui premendo sulla sua schiena nel tentativo di schiacciarlo, e così facendo aveva abbandonato la presa sul suo viso. Valdir respirò profondamente. Un sapore putrescente dilagò nella sua gola e i suoi polmoni sembrarono esplodere nel tentativo di espandersi. Un'incredibile forza pervase le sue vene. I battiti del suo cuore sembravano timpani suonati su di un campo di battaglia, e Valdir lasciò che la sua volontà si unisse a quel guizzo di energia, marciando nel suo corpo fino a fargli perdere la coscienza di se. Quattro parole vennero pronunciate con un filo di voce e quello che fino a poco prima era stato l'io di Valdir si trasformò in energia pura. L'aria iniziò a vorticare e forti correnti di vento solcarono il cielo, come in fuga. Gli alberi si contorsero in maniera innaturale. Una forma eterea dall'aspetto di una serpe attorcigliata iniziò a roteare sempre più velocemente sopra il suo corpo mentre gli alberi e il terreno circostante venivano inspiegabilmente squarciati da forze invisibili. Poi il serpente si stese in tutta la sua lunghezza e si aprì con inesorabile grazia, formando una semisfera intorno all'inerme guardiano. Ci fu un attimo di calma, poi frammenti di legno e terriccio iniziarono a cadere in una pioggia di oggetti che sembrava provenire direttamente dal cielo. Valdir rimase stordito per un attimo, non riuscendo a vincere il senso di spersonalizzazione che aveva accompagnato quello sforzo estremo. Non riuscendo a cogliere i suoi pensieri si sentì perso per un attimo, come una conchiglia che galleggiasse in un mare di luce. Poi un lieve formicolio gli restituì la consapevolezza del suo corpo, finché egli non si sentì sveglio e pienamente conscio di sé. Quel flusso di energia lo aveva purificato come un sonno profondo e si sentiva pronto a reagire. Si sollevò lentamente pulendosi dalla sporcizia che lo aveva ricoperto. Il suo corpo a discapito della mente era ancora dolorante e spossato da quell'improvvisa reazione. Quel poco che rimaneva della nebbia assassina giaceva immobile ai bordi di un cerchio di devastazione. Era caduto in una trappola. L'attacco era stato così veloce e inaspettato da non permettergli quasi di reagire. Se non fosse riuscito a riprendere fiato per lanciare quell'incantesimo... Dei rumori echeggiarono nel bosco. Un ronzare di piccoli insetti misto a scricchiolii. Era troppo stanco per poterlo affrontare, qualunque cosa fosse. Aveva bisogno di tempo. Pronunciò un incantesimo che gli avrebbe permesso di muoversi nell'oscurità e s'incamminò velocemente in direzione opposta al rumore. Se era una qualche creatura a provocarlo probabilmente lo stava inseguendo dall'interno del bosco, e lui non si voleva addentrare oltre. D'un tratto vide qualcosa baluginare nell'oscurità davanti a lui. La vista, resa più acuta dall'incantesimo, gli permise di distinguere uno specchio d'acqua. Aveva raggiunto l'acquitrino, ma da quale direzione? Il suo sguardo fu attratto da delle piante a terra. Erano piante di mandragola, non c'era dubbio. Si chinò per raccoglierle. Ma non appena la sua mano le toccò, queste iniziarono ad appassire. Le varie erbe che circondavano lo stagno iniziarono a decomporsi, mentre molti rami si piegavano appassendo con una velocità impressionante. Il terreno ai suoi piedi stava diventando secco e la superficie dell'acquitrino divenne sempre più opaca, fino a essere totalmente ricoperta da una patina giallastra. Le lische di alcuni pesci emersero per un attimo per poi frantumarsi. Valdir capì perché quei rami si erano rotti così facilmente durante la sua fuga e preso da un impeto di terrore si diede alla fuga zoppicando. Ciò che guidava il pulviscolo sembrava corrompere qualunque cosa a cui si avvicinasse, e lui si doveva allontanare velocemente. Non doveva permettere che il pulviscolo che si stava formando a terra si alzasse di nuovo. Ma la morte sembrava accompagnare i suoi movimenti. Le gambe iniziarono ad appesantirglisi sempre più e si sentì piombare in un improvviso stato di allucinazione. Cadde ginocchioni. Quell'incantesimo diretto lo aveva stancato molto. O forse era stato quel pulviscolo che aveva inalato? Si fece coraggio e si tirò in piedi sorreggendosi su di un tronco. La corteccia si sfaldò lasciando uno squarcio nell'arbusto. Aveva una sola speranza. Dirigersi verso la causa di quegli strani fenomeni ed annientarla. Non sarebbe riuscito a seminarla e non poteva rischiare di guidarla fino al villaggio. Estrasse della cenere dalla tasca superiore della sua giubba. Strappò un lembo dei suoi pantaloni per legarselo intorno alla bocca, poi iniziò a correre protendendo avanti le braccia così da coprirsi il volto. Sentì molteplici rami rompersi al suo passaggio. Ben presto una fitta coltre di polvere lo accerchiò diventando sempre più fitta. La testa iniziò a staccarsi lentamente dal corpo. Ma doveva attendere gli insetti, aveva sentito il loro ronzare. Corse veloce, fino a non sentire neanche più le sue gambe muoversi. Decine e decine di rami marci si sfaldavano al suo passaggio, ma ben presto non ne udì più il rumore. La coltre era divenuta così fitta da non permettergli di sentire più nulla. Lanciato in un volo silenzioso che sembrava durare da secoli, col respiro mozzo, attese il ronzare di mille insetti. E se questo non fosse giunto? Se non lo avesse percepito reso sordo da quella poltiglia infernale? Ma questo invece giunse, dapprima come un bisbiglio, poi acuendosi lentamente divenne, infine, fragoroso come un oceano in tempesta. Valdir urlò tre volte il nome di Jidupvy e lasciò uscire dal pugno chiuso una piccola quantità della cenere che teneva in mano. La aveva ricavata un mese fa dal rogo sacrificale che aveva consumato un seguace di Ffewau nel suo villaggio e ora quel crudele sacrificio sembrava avere un senso. Delle fiamme pervasero l'aria permettendo al solo Valdir di attraversarle incolumi. Sebbene di piccola entità il fuoco allontanò il pulviscolo e gli insetti che stavano cercando di soffocarlo. Circondato da quel rogo magico Valdir si mosse verso il centro di quella zona di putridume e morte. Gli animali che incontrava erano forme di vita sempre più primitive, le uniche che potessero sopravvivere in quello stato. Agli insetti si sostituirono i ragni dei vulcani poi i Guir, i serpenti del deserto, i Merken, i lombrichi che si crede divorino i morti e infine delle mutazioni che non aveva mai visto, probabilmente insetti colpiti direttamente dall'olocausto. Il fuoco lo riparò da queste atrocità mostrandogliene solo i resti carbonizzati. Poi d'un tratto il nulla. Valdir capì di aver raggiunto il centro. Ritrasse il fuoco alle sue spalle per vedere cosa lo aspettasse. Un qualcosa che a stento poteva essere definita una creatura lo stava fronteggiando. L'aria sembrava rarefatta e il terreno bruciato. La sua pelle era simile ad una corteccia ma era più viscosa. Aveva una struttura antropomorfa ma era priva di testa e due appendici deformi composte da tre enormi dita acuminate erano attaccate alle lunghe e secche braccia. Le gambe erano sostituite da un largo e viscido tentacolo che sembrava essere stato troncato a meta. Il suo ventre non era animato da nessun movimento ritmico, al contrario sembrava composto da insetti dai più svariati colori che si attorcigliavano in maniera sempre diversa. Sul suo addome si aprì una fessura molto simile a una bocca, circondata di denti spezzati o quasi interamente mangiati dalle carie. Al suo interno molteplici bulbi oculari sembravano galleggiare in un fluido azzurrino, in maniera caotica. La creatura emise un grido simile uno scricchiolio che sembrò propagarsi all'infinito. Valdir seppur scosso dalla vista e dalla debolezza riuscì a reagire prontamente mentre la creatura si avvicinava. Lanciò in aria la cenere che gli rimaneva, e questa si trasformò in una colonna di fuoco che avvampò fulmineamente verso la creatura. Questa non riuscendo a sottrarsi tentò di fermarla con le braccia le quali immediatamente si incendiarono mentre l'essere emetteva gemiti di dolore. Ma qualcosa sembrava non andare. Anomale lingue di fuoco iniziarono a generarsi alla base della fiamma e questa iniziò a contorcersi in maniera spasmodica. Valdir riuscì a cessare l'incantesimo giusto una attimo prima che la fiamma gli fosse sopra. La creatura ora si stava avvicinando e Valdir non aveva più cenere. La strada alle sue spalle sembrava ancora aperta ma era ormai stanco di fuggire. Probabilmente non c'era più scampo ma avrebbe lottato fino alla fine. Si chinò per estrarre il coltello che teneva legato alla caviglia destra, ma le sue membra erano indolenzite, e la creatura non avrebbe ceduto alla prima pugnalata. Stava per lanciarsi quando vide un altro pugnale solcare l'aria con velocità. Questo colpì la cosa in pieno petto facendola rovinare immediatamente a terra senza nemmeno darle il tempo di gridare. La sua vista iniziò ad offuscarsi mentre sentiva le lunghe dita dell'incoscienza scivolare attorno alla sua mente. Sul punto di mancare vide una figura incedere verso di lui lungo il sentiero di esseri carbonizzati che si stava pian piano richiudendo. Era Mor e aveva in mano dell'erba.


Altri capitoli:

Capitolo 1: Eartara, ottavo Sener Stagione Calante

Capitolo 2: Odowin, lago Kuur. Ottavo Nehener Stagione Calante

Capitolo 3: In volo verso Eartara, nono Nehener Stagione Calante

Capitolo 4: Odowin, Pianura di Miduneer, in viaggio verso i monti aguzzi

Capitolo 5: Eartara, Palazzo dei consiglieri. Nono Ahoer Stagione Calante

Capitolo 6: Villaggio dei Mahari, nono Ahoer Stagione Calante

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